lunedì 2 aprile 2012

Il ruolo dei CVE nella didattica innovativa


Vi siete mai chiesti come si potrebbero far avvicinare gli studenti allo studio in modo tale da farlo risultare addirittura divertente? E se tutto questo potesse essere possibile sfruttando tecnologie che sono oramai d’uso quotidiano? Se la vostra risposta è no, allora oggi vi parliamo di qualcosa di "nuovo"...

Senza dubbio si può dire che per i giovani i videogiochi, in particolare quelli che utilizzano una ricostruzione 3D, costituiscono oramai uno delle principali forme di divertimento e svago e utilizzare questo aspetto permette, nell’ambito scolastico, un apprendimento veloce e spontaneo in materie che, se insegnate con i normali metodi, sarebbero noiose per uno studente medio.
Oggigiorno, nel mondo della didattica, si cercano sempre nuovi metodi per un insegnamento costruttivo ed interattivo e i CVE vengono incontro proprio a queste esigenze. I Collaborative Virtual Environments (CVE) sono applicazioni che definiscono un mondo virtuale multi-utente, come ad esempio ambienti di grafica bi- o tri-dimensionale (2D o 3D) popolati da utenti (avatar) che condividono il tempo, lo spazio e le rispettive azioni, cooperando per raggiungere un obiettivo comune.


Attraverso i CVE si dimostra che il cosiddetto approccio di imparare giocando può essere applicato non solo ai bambini nella prima infanzia (in materie come l’inglese, l’italiano, la matematica) ma anche ad adolescenti nell’ambito della scuola secondaria superiore.

Gli studenti dovranno quindi, in questi ambienti virtuali, interagire con il mondo che hanno attorno, alcune volte seguendo delle informazioni che facilitano, grazie all’ausilio di immagini e animazioni, l’apprendimento di argomenti di alcune materie, altre volte rispondendo a dei veri e propri quiz e giochi come ad esempio una caccia al tesoro tematica. 

Utilizzando questi metodi “ludici”, si ha un notevole aumento dell’attenzione da parte degli studenti e inoltre, cosa non trascurabile, sfruttando la competizione che si può creare in delle vere e proprie gare tra squadre, si incentiva la collaborazione con lo scopo di raggiungere un obiettivo comune, cioè vincere la “sfida” con un’altra scuola riuscendo risolvere i quesiti che vengono posti nel minor tempo possibile.
Non è inoltre da trascurare il positivo e diverso contatto con la figura del docente durante queste esperienze grazie all’abbattersi di alcune barriere esistenti in normali lezioni frontali. Infatti egli, in questi casi, costituirà solo il ruolo di guida e supervisore che aiuterà gli studenti nei momenti di difficoltà e spiegherà loro il funzionamento del gioco interattivo.


Non si parla dunque di fantascienza bensì di sperimentare attualissime vie di insegnamento, sacrificando solo poche ore di lezione e scommettendo su tecnologie che non hanno bisogno di “guide” perché sono già largamente usate al giorno d’oggi.

E voi siete pronti?

Roberto Vergallo             Università del Salento

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